
La “rimozione”
La storia di quando venne persa l’occasione di promuovere il “pieno sviluppo della persona umana” (art 3, comma 2).
Una breve premessa
Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Italia affrontò la transizione dalla dittatura fascista a una democrazia repubblicana. La Costituzione del 1948 sancì principi di uguaglianza e giustizia sociale, ma il paese rimase segnato da profonde disuguaglianze. Infatti, le riforme educative e sociali furono spesso ostacolate da forze conservatrici e neoliberiste…
Ma in che modo i Costituenti prevedevano che la Repubblica potesse rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana?
Su questa linea, Aldo Moro, il 7 luglio del 1947 presentò una mozione, durante i lavori preparatori, diretta a questo preciso scopo.
Nella mozione, approvata all’unanimità, si diceva che le scuole, di ogni ordine e grado, comprese le università, devono formare gli studenti ai nuovi valori Costituzionali. Nuovi rispetto a quelli precedenti, prima dello stato liberale, fino al 1922, e poi dello stato fascista, dal 1922 al 1945. Valori che autorizzavano il predominio dei più forti sui più deboli. Ovvero il modello servo-padrone che ha caratterizzato l’Italia nei secoli precedenti.
Modello interiorizzato dai sudditi come naturale e immutabile.
Di qui si comprende l’impatto che avrebbero dovuto svolgere sulla nostra società i nuovi valori. Cosa che purtroppo non avvenne, proprio perché la mozione di Moro non fu mai attuata.
Le forze neoliberiste erano state sconfitte, almeno apparentemente. Ma stavano progettando la loro rivincita, che puntualmente iniziò trent’anni dopo.