Un’emozione dominante
Dipendenza vuol dire che io non governo me stesso e che qualcun altro mi governa: una donna, un lavoro, un amico… Sono quindi sottomesso, prigioniero. L’unica speranza che ho è che lei o lui siano benevoli verso di me. Nello stesso tempo, un’altra parte di me si arrabbia con me stesso.
Gandhi diceva agli indiani: “Dobbiamo liberarci dalla dipendenza dall’Inghilterra”, e aggiungeva: “Questa è dipendenza esterna. Ma ce ne è un’altra: quella interna, ovvero dipendenza dalle forze oppressive”. Liberarsi da quest’ultima è più difficile, perchè i nemici interni che dominano la nostra vita, come ci ricorda Aristotele, riescono in questo compito facendoci credere che sia il nostro io a decidere, e non altri. In realtà dipendo dalla paura, dalla rabbia o dalla tristezza. Cioè io sono prigioniero di un’emozione che mi domina.
Le passioni tristi (rabbia, tristezza, paura) sono vasi comunicanti, accomunati dalla SOFFERENZA, che sempre si accompagna all’EGO.
Dipendenza= passioni tristi = sofferenza = ego
Quando ci troviamo in questa condizione il nostro corpo soffre, il nostro cuore è chiuso, il nostro intelletto è spento.E poichè il nostro pensiero è linguaggio, parliamo anche male: non bene-diciamo, ma male-diciamo, aprendoci così alla malattia. Il pensiero dialettico, che naturalmente connette tutti questi aspetti, è il pensiero animico.Il pensiero egoico, invece, è separativo, trasformando ogni difficoltà in problema.
Abbiamo bisogno di sviluppare il linguaggio animico, che, con nomi diversi, c’è sempre stato nell’umanità, denominandosi, di volta in volta: pensiero ubuntico, in Africa, dialettico, in Grecia; inter-essere nel buddismo, pensiero poetico, nell’arte; pensiero creativo, nell’infanzia.
Oggi possiamo chiamarlo “Pensiero-soluzione”, quel pensiero che presuppone il collegamento tra emisfero Dx e Sx.
(Dal video di Mauro Scardovelli “Dipendenza affettiva”)